venerdì 20 luglio 2007


Riportiamo un efficace commento su Giuseppe Garibaldi, pubblicato da Avamposto di Civiltà.


TALE PADRE TALE FIGLIO.

Centinaia di generazioni scolastiche, dall’unità d’Italia in poi, sono vissute a pane e Garibaldi.


Il Risorgimento, assieme alla sua degna compagna resistenza (e alla loro figlioccia costituzione) è il caposaldo dell’ Italia, come ripeteva in modo estenuante l’ex presidente della repubblica, Ciampi. E a noi, tale parallelismo tra risorgimento e resistenza non dispiace, visto che sempre di venditori di fumo si tratta. Per il 4 luglio tutto un programma di celebrazioni per il duecentenario dalla nascita di Garibaldi è stato approntato dai palazzi.


Si festeggia il padre dell’Italia, l’eroe dei due mondi, la camicia rossa, l’eroe romantico.


Si festeggia colui che senza l’appoggio della flotta inglese (interessata allo zolfo siciliano) non sarebbe mai sbarcato a Marsala coi suoi mille.


Si festeggia colui che senza il tradimento degli alti ufficiali borbonici (tra la collera dei soldati semplici fedeli a re Ferdinando di Borbone) non sarebbe mai uscito dalla Sicilia.


Si festeggia colui che ad Alcamo, per conquistare un minimo di sostegno popolare, promise riforme sociali, poi rimaste lettera morta.


Si festeggia la brutale morte e l’ inumana deportazione nei lager nordici di San Tommaso e di Finestrelle di chi non si arrese al fumo moderno.


Si festeggiano quei poteri occulti che ridussero il Sud alla schiavitù economica introducendo tasse, delapidando il florido bilancio che il Regno delle Due Sicilie presentava prima dell’ aggressione e costringendo i suoi figli alla emigrazione.


Questa repubblica non può che festeggiare figura diversa da Garibaldi.

Oggi si parla di spese della politica. Giuseppe Garibaldi nel 1875 aveva rifiutato “fieramente” il cospicuo vitalizio di 258.228 euro attuali annui, salvo poi l’ anno dopo accettare il dono nazionale di 1 milione di euro e la pensione di 125.000 euro annui.


BRIGANTE S'MORE!




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